Il killer di parole de Pennac
Il killer di parole di Claudio Ambrosini
Venerdì 10 dicembre 2010 alle ore 19.00 (turno A), ultimo spettacolo della Stagione lirica 2010, andrà in scena al Teatro La Fenice la prima rappresentazione assoluta del Killer di parole, ludodramma in due atti su un soggetto di Daniel Pennac e Claudio Ambrosini, libretto e musica di Claudio Ambrosini.
Commissionato dalla Fondazione Teatro La Fenice – come, nel settembre 2007, Signor Goldoni di Luca Mosca e Gianluigi Melega –, Il killer di parole andrà in scena in un nuovo allestimento coprodotto con l’Opéra national de Lorraine, con la regia di Francesco Micheli, le scene di Nicolas Bovey e i costumi di Carlos Tieppo. Andrea Molino dirigerà l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice (maestro del Coro Claudio Marino Moretti). Il cast sarà formato da Roberto Abbondanza nel ruolo del killer di parole, Sonia Visentin in quello della moglie, Mirko Guadagnini in quello del figlio, Valentina Valente nei ruoli della parola uccisa, della fotografa e dell’ultima parlante giovane, Gianluca Buratto in quelli del collega e dell’ultimo parlante e Damiana Pinti in quelli della giornalista e dell’ultima parlante delle paludi.
La prima di venerdì 10 dicembre 2010, trasmessa in diretta da Rai Radio3, sarà seguita da quattro repliche, domenica 12 (turno B) alle 15.30, martedì 14 (turno D) e giovedì 16 (turno E) alle 19.00 e sabato 18 (turno C) alle 15.30.
Lo spunto per Il killer di parole nasce da una conversazione avvenuta qualche anno fa tra Claudio Ambrosini e Daniel Pennac – amici da tempo – nella quale lo scrittore si soffermava sulla difficoltà di tradurre certe espressioni, tipiche di una lingua, in un’altra. Da qui – i due erano a cena – passarono poi a parlar di vocabolari e Pennac raccontò di un curioso personaggio (vero? frutto della sua fantasia?) addetto a togliere dal dizionario ufficiale qualche parola ormai in disuso ogniqualvolta se ne dovesse far entrare una nuova, come «paparazzo» o «télécopie» (geniale traduzione francese del termine «fax»). Uno ‘spazzaparole’, insomma, incaricato di mantenere più o meno uguale il numero complessivo dei termini inclusi nel dizionario.
Ad Ambrosini questo sembrò immediatamente il personaggio che stava cercando da anni, per innestarsi nel quadro di una problematica più generale a lui cara fin dall’epoca in cui, studente di lingue straniere a Ca’ Foscari, si occupava di genetica e antropologia del linguaggio: la progressiva scomparsa delle lingue del mondo. Non sono cioè solo gli animali e i territori a rischiare la distruzione totale, l’estinzione, ma anche le lingue, l’infinità varietà di fonemi, di costruzioni, di espressioni che l’uomo ha saputo creare nel corso dei millenni.
Le lingue, la Lingua, sono il capolavoro collettivo creato dall’umanità, un patrimonio di valore incalcolabile che di giorno in giorno si assottiglia: alcune poche lingue diventano dominanti, si espandono nel mondo provocando la scomparsa totale di centinaia di altre, soprattutto quelle di popoli che hanno sviluppato solo una cultura orale, di cui, morto «l’ultimo parlante», non resterà più alcuna traccia.
L’opera, strutturata in due atti, è un «ludodramma», neologismo col quale Ambrosini e Pennac vogliono descrivere una situazione che da un inizio leggero, da opera buffa, acquista tensione e si vela di tinte via via più scure. L’azione è incentrata sulle vicende del «killer», uomo sensibile e raffinato ma sposato a una donna più pragmatica che poetica, che ritiene che i numeri – e non le parole – siano il vero motore del mondo. I due hanno un figlio che, nel secondo atto, si rivelerà un fervente paladino di cause umanitarie, dall’esito peraltro incerto. Intorno, una quantità di altri personaggi, da quelli realistici (come il collega, la giornalista, la fotografa) ad altri surreali o di fantasia (come la parola uccisa, le ultime parlanti litoranee, gli ultimi parlanti rupestri, quelli delle oasi, dei picchi, delle spianate, delle cascate…).
Ad ognuno di questi gruppi, e delle rispettive lingue, corrisponderà un «mondo sonoro» singolare, caratterizzato da un’orchestrazione innovativa e assai colorata, com’è tipicamente quella del compositore veneziano.
Da un punto di vista generale, Il killer di parole va ad aggiungersi alla «trilogia» composta da Ambrosini su tematiche di vasta portata, che annovera Big Bang Circus (Biennale di Venezia, 2002), Il canto della pelle (Sex Unlimited) (Opera di Lione, 2006) e Il giudizio universale (Festival delle Nazioni, 1996): tre opere incentrate rispettivamente sull’idea di «principio», «esistenza» e «fine». Questa più recente tappa si concentra ora sul «Verbo»: la lingua, la parola, ma in chiave squisitamente terrena.