Luisotti dirige Tosca

Stagione d’Opera e Balletto 2011 ~ 2012

22, 26, 28 aprile ~ 2, 6, 9, 11, 12, 15 maggio 2012

TOSCA

melodramma in tre atti

Giacomo Puccini

di
libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa

(Nuova edizione riveduta sulle fonti originali a cura di R. Parker;
Edizione Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano)

Prima rappresentazione: Roma, Teatro Costanzi, 14 gennaio 1900

Produzione Teatro alla Scala

In coproduzione con Metropolitan Opera di New York e Bayerische Staatsoper di Monaco

Direttore

NICOLA LUISOTTI

Regia LUC BONDY

Scene RICHARD PEDUZZI

Costumi MILENA CANONERO

Personaggi e interpreti principali

Floria Tosca

Martina Serafin
Oksana Dyka (26 aprile, 11 maggio)

Mario Cavaradossi

Marcelo Álvarez
Alexander Antonenko (26 aprile, 11 maggio)

Il barone Scarpia

George Gagnidze
Marco Vratogna (26 e 28 aprile, 11 maggio)

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Maestro del Coro BRUNO CASONI

Date:

domenica 22 aprile ore 20 ~ prima rappresentazione

giovedì 26 aprile ore 20 ~ fuori abbonamento

sabato 28 aprile ore 20 ~ fuori abbonamento

mercoledì 2 maggio ore 20 ~ turno B

domenica 6 maggio ore 15 ~ turno C

mercoledì 9 maggio ore 20 ~ turno A

venerdì 11 maggio ore 20 ~ fuori abbonamento

sabato 12 maggio ore 20 ~ turno E

martedì 15 maggio ore 20 ~ turno D

Prezzi: da 187 a 12 euro

Infotel 02 72 00 37 44

teatroallascala.org

Nicola Luisotti è Direttore Musicale dell’Opera di San Francisco e Direttore Ospite Principale della Tokyo Symphony Orchestra.
Recentemente è stato nominato Direttore Musicale del Teatro di San Carlo di Napoli.

Fra i successi più recenti: il debutto al Teatro alla Scala, con un nuovo allestimento di Attila diretto da Gabriele Lavia (estate 2011), e il ritorno sul podio del Metropolitan nel dicembre 2010 con La fanciulla del West, esecuzione che gli è valsa il Premio Puccini.

Durante la terza stagione in veste di Direttore Musicale dell’Opera di San Francisco, Luisotti dirige Turandot, Carmen e nuovi allestimenti di Don Giovanni e Attila.
Recente il successo al Teatro di San Carlo di Napoli con I masnadieri di Verdi.

All’Opera di San Francisco, dopo il debutto con La forza del destino nel 2005, Luisotti ha diretto La bohème, Il trovatore, Salome, Otello, La fanciulla del West, Aida, Le nozze di Figaro e Madama Butterfly.

Ha inoltre diretto diversi spettacoli lirici alla Suntory Hall, in veste di Direttore Ospite Principale della Tokyo Symphony.

Collabora con i più prestigiosi teatri lirici del mondo – Metropolitan, Opera di Los Angeles, Opera di Seattle, Canadian Opera Company, Royal Opera House Covent Garden, Staatsoper di Vienna, Bayerische Staatsoper, Dresden Staatskapelle, Opera di Francoforte, Opéra Bastille, Teatro Real di Madrid – Teatro alla Scala, Teatro La Fenice, Teatro Carlo Felice, Teatro Comunale di Bologna, Teatro di San Carlo.

Apprezzato anche come interprete del repertorio sinfonico, durante questa stagione Luisotti dirigerà sei prestigiosi complessi: l’Orchestra del Teatro di San Carlo di Napoli, i Berliner Philharmoniker, l’Orquesta Nacional de España, l’Orchestra dell’Opera di San Francisco e le orchestre di Cleveland e Philadelphia.

Tra i complessi da lui diretti: Berliner Philharmoniker, London Philharmonia, Staatskapelle Dresden, Alte Oper di Francoforte, Bayerisches Rundfunkorchester, Hessischer Rundfunk, Atlanta Symphony, San Francisco Symphony, Filarmonica di Amburgo, Filarmonica di Zagabria, la NHK Symphony Orchestra, Tokyo Symphony Orchestra, Orchestra Nazionale
Russa, Orchestra Sinfonica della Radio di Budapest, Filarmonica della Scala, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI. Ha diretto una serie di concerti a Pechino in occasione dei Giochi Olimpici del 2008.

La produzione discografica di Luisotti comprende l’incisione della versione integrale di Stiffelio (Dynamic) e Duets (Deutsche Grammophon). Il Maestro dirige inoltre nel dvd de La bohème (EMI) al Metropolitan di New York.

Tosca venne rappresentata per la prima volta nel 1900 (Roma, Teatro Costanzi), sicché la sua posizione storica – sul crinale del nuovo secolo – appare oltremodo simbolica. In quest’opera, tratta dall’omonimo dramma di Victorien Sardou (che Puccini vide interpretato da Sarah Bernhardt), il compositore lucchese spinge risolutamente verso un tipo di sperimentazione che giustifica l’ammirazione provata per Tosca da musicisti d’avanguardia come Arnold Schönberg e Alban Berg. Eppure, in questo capolavoro, la
critica vide fino a non molto tempo fa (con ben poche eccezioni) un melodram-
mone tutto effetti (o effettacci) e sentimentalismo a buon mercato. (Si sa, il suc-
cesso popolare è guardato con estremo sospetto dai critici modernisti.) Non che manchino le suggestioni veriste: si vedano ad esempio le campane e lo stornello del pastore che aprono il terzo atto. Così come non mancano i richiami al melodramma parascapigliato: il morboso legame fra Tosca e Scarpia sembra infatti esemplato (il rilievo è di Michele Girardi) su quello
che unisce soprano e baritono nella Gioconda di Ponchielli-Boito (a partire dallo status professionale delle due coppie di personaggi: Gioconda è una “cantante girovaga”, Tosca una cantante lirica, Barnaba una spia corrotta, il barone Scarpia il comandante della polizia segreta). Ma la violenza dei contrasti, l’unione di fede oppressiva e autoritarismo incombente, erotismo e sadismo (si pensi alla fine del secondo atto, da «Questo è il bacio di Tosca!» a «E avanti a lui tremava tutta Roma!»), la declamazione esasperata durante la scena della tortura, gli stessi accordi di Scarpia così esplosivi e brutali – insomma, tutto ciò sembra avere più a che fare con un espressionismo ante litteram che non con il contemporaneo verismo. Lo spiegò con la solita lucidità critica Fedele D’Amico già venticinque anni or sono:
«Salome, Elektra, Wozzeck: si dovrà ben trovare il coraggio, un giorno o l’altro, di nominare Tosca nella lista; cronologicamente verrebbe al primo posto».
D’altra parte, lungi dall’essere (come qualcuno ancora crede) un coacervo di
momenti musicali più o meno pregnanti sullo sfondo di un’ambientazione superficialmente bozzettistica, il linguaggio musico-drammatico di Tosca appare davvero coerente e compatto. Certo, spiccano le “romanze” emotivamente intensissime e tutto sommato isolabili dal flusso drammatico: «Vissi d’arte», «E lucevan le stelle» ecc. Ma l’attenzione posta da Puccini
sulla continuità dell’azione è tale che egli fu tentato fino all’ultimo di sacrificare la preghiera di Tosca in quanto momento troppo lirico-contemplativo. Passando alla “posizione” dell’aria di Cavaradossi del terzo atto, assente nel dramma di Sardou, essa suscitò non a caso l’entusiasmo del vecchio Verdi che conobbe la riduzione del libretto di Illica nel 1894 a Parigi. Comunque sia è l’intrecciarsi dei motivi ricorrenti e delle cellule tematiche che ga-
rantisce – sul versante musicale – la compattezza di cui si diceva. Un tessuto leitmotivico che raggiunge in Tosca una coesione del tutto inedita nel panorama dell’opera italiana. E che ha fatto storcere il naso a molti critici per i quali si tratta comunque di un’applicazione esteriore e superficiale della tecnica wagneriana. Perfino Mosco Carner parla di Leitmotive adoperati «senza rigore né coerenza, anche se con mirabile istinto drammatico».
Ma – al contrario – credo che l’assimilazione-personalizzazione pucciniana della tecnica leitmotivica possa essere paragonata a quella di altri compositori della sua generazione, in primis Debussy e Richard Strauss. Si prenda il caso del motivo di Scarpia, ossia i tre accordi già citati che aprono l’opera e che vengono ripresi innumerevoli volte durante il suo corso.
La forza e la violenza di tale motivo – ulteriormente accentuate dall’intervallo di quinta diminuita (il diabolus in musica) tra le fondamentali del primo e dell’ultimo accordo (si bemolle-mi bequadro) – hanno qualcosa di plateale e di iperbolico, sia pure. Ma lo spessore drammatico di quel gesto sonoro così enfatico è a ben guardare tutt’altro che da sottovalutare.
Com’è stato fatto notare, i tre accordi sono improntati a una sorta di modalismo pseudoecclesiastico che associa il personaggio di Scarpia al potere papale, la sua ansia perversa al controllo poliziesco-clericale incombente su tutta l’opera. Quando il motivo di Scarpia riappare, dopo la sua morte, alla fine dell’introduzione orchestrale del terzo atto (in un piano abbastanza sinistro), il significato drammatico appare evidente: il potere di Scarpia, come un’ossessione disincarnata, aleggia ancora nell’aria.
In conclusione, a Puccini (come a Strauss) riesce una sorta di miracolo: la sperimentazione e l’aggiornamento linguistico, così importanti da Tosca a Turandot, si fondono mirabilmente con l’immediatezza e l’efficacia comunicativa del modello melodrammatico (guardato sempre più in
cagnesco dal “teatro moderno”). Una strada che nessuno dei compositori della
generazione successiva (quella cosiddetta dell’Ottanta) sarebbe stato più in grado di percorrere.